Vai al contenuto

Mongiana

Scopri

MONGIANA

Il suo centro urbano è lambito dalle acque della fiumara Allaro, conta 630 abitanti, è posto a 921 metri s.l.m. ed è circondato dai secolari boschi delle Serre.
Mongiana è un piccolo comune, ma in passato fu un importante centro industriale. Parlare di Mongiana vuol dire parlare di archeologia industriale.
Mongiana è un museo all’aperto, i suoi “reperti” sono: le case degli operai, le case del comandante e del capitano, la fabbrica d’armi, la fonderia, le ferriere e i suoi stessi abitanti discendenti degli antichi operai siderurgici, che mantengono viva la loro memoria industriale. 
La storia di Mongiana testimonia la Calabria produttiva e operosa. Le ferriere di località Cima, realizzate nel 1761, rappresentavano l’embrione del grande complesso siderurgico che diventerà Mongiana nei decenni a seguire. 
Il polo industriale caratterizzerà tutta l’economia delle Serre Calabre e del meridione d’Italia, sino agli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia.
Il nuovo complesso siderurgico fu realizzato per aumentare le produzioni di ferro e di armi. Attorno alle ferriere nacque, realizzato dagli stessi operai, un piccolo nucleo abitativo costituito da diverse baracche in legno.
Il governo borbonico per migliorare il nuovo polo industriale e il villaggio, nel 1771 inviò nelle montagne di contrada Cima il più famoso architetto-urbanista del tempo Mario Gioffredo, considerato per le sue capacità il Vitruvio di Napoli.
Altra figura basilare per Mongiana fu l’ingegnere costruttore Fortunato Savino, nativo di Positano, giunto a Mongiana nel 1837. Per 35 anni fu il fautore della vita industriale e urbanistica della cittadella operaia.

Il polo industriale

La dotazione industriale di Mongiana, sul finire della sua attività, era costituita da una fabbrica d’armi, numerose ferriere e dalla grande fonderia.
La fonderia era molto spaziosa, 3.570 m2, e ben disposta sul terreno.
Era recintata da solide mura che dovevano proteggerla anche dalle acque della vicina fiumara Allaro. 
Al suo interno vi erano il grande carbonile, un deposito per il minerale, 14 magazzini, diverse fucine con basso fuochi, due forni Cubilotto/Wilkinson, la carpenteria, una sega idraulica, una macchina a vapore, tre caldaie riscaldate dai gas di recupero degli altiforni e il forno di riscaldamento dell’aria.
In essa erano attivi tre altiforni. Quello centrale, denominato Santa Barbara, era il tipico altoforno all’Italiana, che aveva la caratteristica forma esterna di un parallelepipedo in blocchi di granito, cerchiato da catene e fasce di ferro.
I due altiforni posti ai suoi fianchi erano il S. Antonio e il S. Francesco, più moderni del precedente che, come tecnologia costruttiva, erano del tipo Thomas e Laurent di derivazione inglese, realizzati tra il 1854 il 1855.

Le ferriere

Diverse erano le ferriere che operavano di concerto con la fonderia: la Cubilotto, la S. Brunello, la S. Francesco già S. Carlo, la S. Teresa già S. Ferdinando e la grande ferriere Robinson tutte dislocale a valle della fonderia sul corso della fiumara Allaro.
Le produzioni annue di
ghisa ponevano lo stabilimento di Mongiana al primo posto nel Regno. Esso forniva la ghisa alle sue ferriere e alla fabbrica d’ami locale e il surplus veniva spedito alle ferriere del napoletano, le quali la utilizzavano per le loro produzioni.
Con la ghisa prodotta a Mongiana furono realizzati i binari della linea ferroviaria italiana
Napoli-Portici nel 1839.
Così come alcuni componenti dei primi ponti sospesi in ferro d’Italia: il “
Real Ferdinandeo” sul fiume Garigliano nel 1832 e il “Cristina” sul fiume Calore nel 1834. Da Mongiana l’esercito riceveva parte dell’armamento leggero, realizzato nella fabbrica d’armi.
Questa prende vita nel periodo dell’occupazione francese quando Murat ordina la costruzione di una “Fabbrica per canne da fucile”. 
Nel 1852, dopo la visita di Re Ferdinando II, Mongiana con decreto dello stesso, diviene “colonia militare”. Nello stesso anno si realizza la più moderna fabbrica d’armi del Regno, progettata da Domenico Fortunato Savino.
Per dimostrare la perizia dell’industria di Mongiana nelle produzioni, Savino inserisce sull’atrio della nuova fabbrica due colonne doriche in “ferraccia” alte 4,80 m, con relativo architrave. 
Annualmente nella fabbrica d’armi, venivano approntate circa 2-3 mila armi da fuoco, con punte di 7- 8 mila nei periodi di maggiore richiesta.

La crisi dopo l’Unità d’Italia

Con l’unificazione d’Italia vi è una caduta verticale delle produzioni che nel periodo 1863-64 calano a un quarto delle precedenti annate.
Nel 1864 Mongiana non produce più armi proprie, ma elabora e modifica fucili vecchi che trasforma da “silice a fulminante”.
La fabbrica chiude i battenti definitivamente nel
1876.
Il personale addetto agli opifici di Mongiana, intorno alla metà del XIX secolo era costituito da: il presidio militare, circa 30 soldati e ufficiali, 30 impiegati civili, 2 cappellani, 2 medici, 2 chirurghi, un capo fonditore, un sotto aiutante, tre alunni e un capo artefice con tre operai e tre discepoli. E ancora, 100 operai in fonderia, 200 nella fabbrica d’armi, 300 addetti alla carbonizzazione,170 al trasporto del minerale con 280 muli e asini, 20 carrettieri 200 tra fabbri, falegnami e manovali, 2 verificatori, 4 guardia magazzini, 1 cassiere, 1 capocontabile.
Entrare nella fonderia, nel MUFAR (Museo delle Reali Ferriere Borboniche) e passeggiando nel centro storico di Mongiana, impreziosito anche da murales che “mostrano” scene del suo passato industriale, ci aiuta a scoprire, capire e riflettere sul passato di questi luoghi.