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Miniere

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LE MINIERE DELLA VIA DEL FERRO

La vallata dello Stilaro e i primi contrafforti delle Serre hanno costituito per oltre duemila anni il più grande bacino minerario del sud Italia.
I primi a sfruttare le risorse minerarie di Pazzano furono le popolazioni indigene intorno al IX sec. a.C. ed in seguito le varie popolazioni che si sono succedute nei secoli al controllo del territorio calabro.
Riscontri archeologici, riferibili alle antiche miniere greco-romane o a quelle medievali, non ve ne sono.
Ciò è da attribuirsi, esclusivamente, alla continua e secolare attività estrattiva, attuata sempre nella stessa area mineraria che inevitabilmente ha distrutto nel riutilizzo le vecchie gallerie. 

L’area mineraria

Il bacino minerario era costituito essenzialmente dai monti: Stella, Consolino, Petracca e Mammicòmito. Il banco di minerale, che si estendeva per svariati chilometri, era costituito essenzialmente dalla limonite minerale dal quale si otteneva la ghisa e il ferro.
Per il suo sfruttamento furono in varie epoche aperte circa
30 bocche di miniera.
Nella fase ottocentesca preunitaria, le miniere di Pazzano: Immacolata, Lucarello e Scolo, molto vicine tra di loro, determinavano da sole un campo di coltivazione di oltre 1 km.
In esse lavoravano circa 140 minatori e la produzione si aggirava annualmente tra i 40-50.000 quintali. Era stimato che tali quantità potessero aversi per oltre 20 anni.

Nella galleria Scolo, forse la più ricca, già nel 1840, furono introdotti i binari in ferro con i carrelli per trasportare all’esterno il minerale.
In seguito analoga scelta fu operata nella miniera Noceto nel comune di Bivongi. 

Regolamenti e luoghi di trasformazione del minerale

Fin dal 1845 il lavoro nelle miniere di ferro di Pazzano era ordinato da un apposito regolamento. Questo determinava degli obblighi per tutti gli addetti al lavoro nelle miniere.
Il Capitano era incaricato del controllo delle miniere, dei minatori, garzoni, e così via.
Allo stesso tempo però offriva anche delle garanzie agli stessi, come le turnazioni nel lavoro, i compensi, e molto altro.

Il minerale, estratto dalle profonde gallerie di Pazzano, veniva avviato ai luoghi di trasformazione: le fonderie, lontane 15-25 km. L’invio avveniva tramite l’ausilio di una nutrita schiera di trasportatori che con muli e asini percorrevano instancabilmente le appena tracciate e disagevoli piste di montagna.
Gli addetti al trasporto provenivano, oltre che da Pazzano e Bivongi, anche da altri paesi del circondario.
L’estrazione mineraria a Pazzano da parte dello Stato avrà fine nella seconda metà del 1900, anche se tentativi di sfruttamento da parte di privati furono attuati nei decenni successivi.

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