Storia
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La storia della Via del Ferro
La ricca presenza di minerali (Galena, Calcopirite, Limonite), ha sin dal XIII sec. a.C. attirato in Calabria, popolazioni che vi si stanziarono per attuarne lo sfruttamento. Popoli che provenivano dall’area anatolica, dalla penisola Balcanica e dalla vicina Puglia.
A questi fecero seguito i Fenici, e poi i coloni greci, che fondarono sulle coste calabresi le loro fiorenti città.
Gli Achei fondarono sull’antico promontorio Cocynthum, la città di Kaulonìa che si ha motivo di credere sia stata fondata per attuare lo sfruttamento delle molte risorse presenti nel suo entroterra.
In particolare le ricche miniere di argento e di ferro. L’argento serviva per coniare le proprie monete, il ferro invece armi e attrezzi agricoli.
I romani conquistando la Calabria, iniziarono un più intensivo sfruttamento delle risorse del territorio e realizzarono a Pazzano una colonia di minatori. I bizantini proseguirono le attività.
Con il sopraggiungere dei Normanni, le attività minerarie e siderurgiche della vallata dello Stilaro e delle Serre Calabre iniziano ad essere citate stabilmente in documenti ufficiali.
Nel 1094 Ruggero il Normanno donò ai certosini di San Bruno, forni fusori e miniere ubicate nel circondario di Stilo e Bivongi: “… concedo pro eandem Ecclesia in dotem Domini Patri Brunoni, …molendinis, mineris aeris, ferri, e omnium metallorum”.
Nel 1173 Guglielmo II Re di Sicilia diede ai Certosini il possesso delle miniere dello Stilaro: “…et libertatibus minereae aeris et ferri…”.
Nel 1224, Federico II concesse alla Certosa di San Bruno “..il corso libero delle acque per uso dei molini, battandieri,…i siti delli stessi, l’uso del ferro, del sale per comodo proprio…”, e incaricò i propri emissari di effettuare una indagine “dalla quale conoscer si possa se le miniere di ferro in Calabria fossero state del tutto esplorate , o se in altro luogo del reame si fossero stabilite ferriere…”.
Anche gli Aragonesi incentivarono le attività siderurgiche nelle Serre, ordinando di “…fare a Stilo una o quante ferriere saranno necessarie per servizio de la Corona, dove più comodo et utile sarà, attento che tale beneficio et utilità resterà perpetua a la Corona”.
Prende vita, da questa volontà reale, il polo siderurgico delle “Reali Ferriere di Stilo” che nascerà nei boschi delle Serre calabre e che ha caratterizzato l’economia del Regno per oltre duecento anni. La “fame” di ferro del Regno aumentava, di conseguenza il polo siderurgico doveva ampliarsi.
Nel 1600 per ingrandire l’industria siderurgica fu edificato nelle Serre calabre, un nuovo opificio che venne ubicato sul corso alto della fiumara Stilaro nel centro del grande “Bosco di Stilo“.
Soprattutto i Borbone destinarono molti finanziamenti alla siderurgia delle serre e attuarono molte iniziative. A loro, infatti, si deve nel Settecento e nell’Ottocento l’ampliamento delle ferriere di Stilo, la fondazione di Mongiana e la realizzazione della cittadella metallurgica di Ferdinandea, che furono centro nevralgico della siderurgia del Regno per oltre un secolo.
Questa vasta attività industriale statale ha fine con la dismissione degli opifici di Mongiana e Ferdinandea voluta dal nuovo governo post-unitario, che mise in vendita tutti gli opifici delle Serre calabre.
Le attività industriali furono acquistate da Achille Fazzari, personaggio emblematico del Risorgimento italiano. Divenne unico proprietario non solo degli stabilimenti siderurgici di Ferdinandea, anche di quelli di Mongiana, delle miniere e di gran parte dei boschi del circondario.
Fazzari cercò di riprendere le attività siderurgiche ma non riuscì nel suo intento, riconvertì il tutto, per non fallire, in una azienda silvo-pastorale.
Iniziò immediatamente a restaurare il Palazzo, trasformando quello che era l’ufficio amministrativo delle Ferriere di Stilo in una splendida villa residenziale per sé e per i suoi operai.
Tentativi di ripresa
Nel novembre 1916 aziende private si interessano all’industria mineraria Calabrese.
Al comune di Pazzano perviene da parte del dott. Alessandro Casini, una istanza atta ad ottenere la concessione dello sfruttamento delle miniere di ferro e di qualsiasi altro minerale presente nel territorio comunale.
Il lavoro minerario viene ripreso e dalle miniere si inizia ad estrarre non più solamente limonite ma soprattutto pirite, che si trovava in abbondanza.
Il minerale iniziò ad essere inviato non più agli stabilimenti siderurgici Calabresi, oramai definitivamente chiusi, ma ad altri impianti di trasformazione fuori dalla Calabria (Sicilia e Puglia).
Il 5 luglio 1920 fu costituita la società Anonima “Miniere di Pazzano”. Questa dà incarico all’ingegnere Emilio Cortese, un grande geologo del tempo, di ispezionare le miniere di Pazzano, di analizzare il minerale ed avviare una seria ricerca su tutto il territorio comunale.
A Pazzano, sul lato del Monte Stella, si apre la galleria Italia e nei suoi pressi la Piave (ex Umbertello), la Regina, la Noceto e poco distante la Scolo.
Sul Mammicòmito invece si apre la miniera Trieste ed un’altra in località Pietra, dove si riutilizzò la vecchia miniera borbonica Colle di Banno.
L’interesse di grosse società
Una nuova fase di ricerca si avrà intorno al 1936 ad opera della COMITAL, della Soc. AMNI e della Soc. Ernesto Breda, che aveva come principale scopo la ricerca di minerale di rame, di ferro e soprattutto di molibdenite.
La Breda infatti avviò in Calabria lo sfruttamento del più ricco giacimento minerario italiano di Molibdenite, un raro minerale utilizzato nell’industria bellica.
Furono aperte decine di miniere la più ricca delle quali nel comune di Bivongi in località “Giogli“. Qui il minerale, con una teleferica, veniva portato ad un grande impianto di “flottazione”, costruito sul fiume Stilaro in località “Perrocalle”.
Altre iniziative si ebbero ancora nel 1948 con la costituzione da parte del CNR del Centro di Studi Silani.
Nel 1951 si costituisce la Società “La mineraria Calabra“, su iniziativa della Montecatini e dall’Ente Sila. Anche in questo caso, dopo una prima fase di ricerca e di riapertura di alcune bocche di miniera, i lavori furono definitivamente sospesi.
La situazione attuale
Oggi, a testimoniare il passato minerario e siderurgico della vallata dello Stilaro, restano nei suoi dintorni numerosi imbocchi di miniera, case operaie, depositi, discariche, ferriere, fonderie, ecc.
Sul territorio rimangono molti toponimi, memorie delle attività industriali del passato. Come, per esempio, Bivongi che indica il luogo dove si temperava il ferro, o come Argentera chiaro riferimento all’antica miniera di argento.
E poi Argalia luogo dove batteva il “maglio”; Fharcu per la presenza di miniere di calcopirite. E ancora, la fiumara Assi che in passato veniva chiamato anche “il fiume dell’argento”; Mulinu do fhurnu e Angra do Furnu per la presenza di forni fusori; “Argastili” nome greco di una officina; infine Forno nei pressi di Camini e lo stesso toponimo di Camini che indica la presenza di forni.